“Omelie per gli invisibili”, presentato all’Unical il libro del vescovo di Cosenza mons. Checchinato

“E gli ultimi saranno i primi, promessa che basterebbe da sola a spiegare la fortuna del cristianesimo…” Scriveva Emile Cioran.
Fuori dalla logica cristiana, ma spesso anche dentro tale logica, questi “primi”, restano gli ultimi, restano gli ultimi a cui mai verrà dato nome, almeno quaggiù. Gli invisibili, quelli che infastidiscono le nostre coscienze, quelli che ci scomodano,perché ci chiamano a prendere una posizione. Così come la parola mafia, anche questa tra le ultime pronunciate da chi deve smuovere coscienze. Quella parola che, molto spesso, resta nel chiuso delle sacrestie, salvo trovare il Papa argentino che scomunica i mafiosi nella piana calabrese di Cassano…

Omelie per gli invisibili”, è il libro, di Mons. Giovanni Checchinato Arcivescovo della Diocesi di Cosenza Bisignano, presentato questa mattina presso l’University Club dell’Unical alla presenza oltre che dell’autore, di Giorgio Marcello e Sabina Licursi docenti Unical, Gianfranco Zucca, Iref, Annachiara Valle di Famiglia Cristiana, guidati dalla introduzione di Pino Fabiano di Migrantes e alla presenza degli studenti di Scienze delle politiche e dei servizi sociali.

“Omelie per gli invisibili” racconta storie, e dati, e sussulti di cuore e questo raccontare storie la propria personale, quella delle vittime, da parte di Don Gianni (così si definisce Mons. Checchinato) è dare senso e nome alla realtà. Una realtà, quella pugliese, valevole per ogni luogo del nostro sud, in cui, a volte, si muovono figure familiari e al tempo stesso lontanissime; infatti sono tanti gli invisibili della società contemporanea: i migranti che muoiono in mare cercando una speranza, i disabili che affrontano ogni giorno una vita piena di ostacoli, la manovalanza del fenomeno del caporalato, le nuove schiave della prostituzione e della tratta, gli anziani soli, le vittime della droga e delle nuove forme di dipendenza.

Queste persone esistono. Ma a volte sembriamo non accorgercene, perché vivono in eterne periferie dell’anima e dello spazio, ai margini della storia. Ce ne ricordiamo soltanto attraverso statistiche e numeri o per i fatti di cronaca. Don Gianni più che fare omelie per gli invisibili evidentemente fa delle loro vite un’omelia per chi non è brutto, sporco e cattivo ma si trova dalla parte bella, pulita e buona della vita. O almeno crede. Le pagine del libro che dedicate a Papa Francesco danno risonanza al monito di Don Pino Puglisi “E se ognuno di noi può fare qualche cosa, allora si può fare molto…” partono dalle terre della provincia di Foggia, come S.Severo, S.Marco in Lamis… Terre “in mezzo al niente” come le definisce l’autore, ove si consumano omicidi e regolamenti di conti di quella che viene chiamata la quarta mafia, dove le donne vengono usate come oggetti, per due soldi, succubi delle percosse dei protettori, dove la manovalanza brucia ai 40 gradi delle estati torride fatte di caporali e nomi e residenze che non esistono. “Non vita” di invisibili che diventano oggetto della prima omelia pronunciata il 25 settembre del 2017 dal 41°Vescovo di S.Severo, Mons.Checchinato. Sull’altare si parla di prostitute, di violenza, di ricatto.

Pino Fabiano di Migrantes introducendo i lavori mette in evidenza che questa situazione ovviamente riguarda anche, “questa nostra terra calabrese, che è terra che soffre e dove bisogna avere rispetto della sofferenza ma anche combattere la rassegnazione che spesso ci fa capaci di girarci da un’altra parte.”

Il prof. Giorgio Marcello illustra il fenomeno della “quarta mafia” un sistema di associazioni criminali che controlla la Capitanata e la provincia di Foggia con estrema crudeltà, gestendo il traffico di stupefacenti, la prostituzione, il racket delle estorsioni, l’organizzazione di furti e rapine e infiltrandosi nella pubblica amministrazione. Il mondo della mafia e quello degli immigrati sono apparentemente lontani, ma hanno un punto in comune: sono entrambi invisibili. I mafiosi, da una parte, non vogliono farsi identificare, pur utilizzando tutti gli strumenti possibili, anche le nuove tecnologie, per ottenere un consenso sociale. Dall’altra, le persone provenienti da molti paesi africani che arrivano in Puglia per lavorare preferiscono vivere in una baracca, lontano dai centri abitati e in condizioni terribili, pur di sentirsi accettati dagli altri del ghetto, piuttosto che in una casa vera e propria ma discriminati in città. Marcello sottolinea che il libro offre poi agli studenti tre spunti: innanzitutto per comprendere fenomeni complessi bisogna studiarli a fondo senza dare nulla per scontato senza ricorrere a stereotipi ricorrendo invece a dati certi; la dimensione dell’ascolto profondo per interpretarne i bisogni di questi invisibili e infine lasciarsi aiutare, chi entra in contatto con la fragilità altrui ha bisogno di un supporto emotivo. Entrano in contatto due vulnerabilità diversamente declinate e con questa fragilità bisogna imparare a fare i conti, in una parola accompagnare.

Secondo Licursi emerge sicuramente dalle pagine del libro che non basta la repressione e l’azione giudiziaria ma usando le parole di Francesco citato nel volume “lottare contro le mafie significa anche bonificare, trasformare, costruire, e questo comporta un impegno a due livelli. Il primo è quello politico, attraverso una maggiore giustizia sociale, perché le mafie hanno gioco facile nel proporsi come sistema alternativo sul territorio proprio dove mancano i diritti e le opportunità: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria. Il secondo livello di impegno è quello economico, attraverso la correzione o la cancellazione di quei meccanismi che generano dovunque disuguaglianza e povertà”. Inoltre si sottolinea l’utilità, a favore degli studenti, di favorire fin dei primissimi anni di vita l’incontro con modelli di convivenza differenti con significati e valori diversi da quelli trasmessi nei contesti ordinari di vita: pensare i più piccoli come attori in grado di stimolare i cambiamenti nella cultura degli adulti. C’è bisogno di nuovi educatori più che di nuove scuole dove costruire relazioni educative che facciano emergere ciò che di bello buono, pulito, solare c’è dentro persone.
Per la Valle, il libro presenta “spunti interessanti di sociologia, di psicologia, di Vangelo che ci chiamano a prendere posizione. E la cosa diventa scomoda lo dico sia come cristiana ma anche da essere umano e questo cercare la scomodità può portarci ad un punto di rottura perché altre cose possano ricomporsi e possano crescere positivamente. Cita poi l’esempio della comunità di Sant’Egidio che per rendere “meno invisibili” gli invisibili, assicura loro un domicilio che gli permette di “esistere”.

Penso ad Hannah Arendt che parlava di ‘non uomini’; di masse di persone cui venivano tolti i diritti civili, il passaporto, le proprietà; ovunque cacciati, diventavano appunto, nei lager, invisibili… Penso al migrante che per esempio ci affianca in bus,già classificato in una nostra categoria, ‘vù’ cumprà’, ‘clandestino’… Insomma, tacitamente negli invisibili. Non possiamo certo risolvere tutti i loro problemi, magari non siamo noi che possiamo dar loro un lavoro non in nero. Però possiamo farlo, possiamo guardarli in viso, fare un cenno di saluto, chiedere magari di chi è fuori dalla porta del supermercato e da dove viene. E’ quasi niente: ma è almeno un cominciare a tirare fuori dalla massa indistinta e invisibile che spaventa tanti, dei volti, degli esseri umani. Come noi.

Luisa Loredana Vercillo 

leggi anche..

Fillea Cgil Calabria, dati settore edile in Calabria 1° semestre 2024

“Anche nel primo semestre del 2024 si registra una crescita per il settore delle costruzioni …